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Piccole Storie da Guida Alpina - Cime Numerate

Anni addietro credevo che varie vette dolomitiche, teatro di sanguinosi combattimenti durante la Grande Guerra, fossero state battezzate con i numeri dagli alti comandi militari per ragioni “strategiche”.

Sia sull’altopiano di Asiago che in Val Pustera e in Val di Fassa si trovano infatti Cima Dieci, Cima Undici, Cima Dodici…

Mi sbagliavo! In realtà il nome è legato al fatto che queste vette, rispetto ai paesi di fondovalle, costituiscono delle meridiane naturali; il sole passa sopra a quella cima ben riconoscibile alle dieci e allora sarà Cima Dieci.

Prima dell’avvento degli orologi sui campanili delle chiese, questo era il modo con cui i montanari potevano seguire lo scandire del tempo nell’arco della giornata e il susseguirsi delle stagioni in base alla proiezione dell’ombra e ai punti di alba e tramonto dietro le creste.

Risalendo alla preistoria, l’andamento dell’arco solare assumeva addirittura connotati simbolici legati al raccolto e alla fertilità e, mentre a Stonehenge l’uomo forse allineò i megaliti per creare un almanacco, nelle Alpi identificò gli anfiteatri montuosi che rispondevano alla stessa esigenza.

La meridiana naturale più famosa delle Alpi è certamente quella di Sesto Pusteria, che comprende ben cinque cime, dalla Nove alla Una. La più singolare è forse costituita dalla Lenzspitze, letteralmente “cima della primavera”, perché da Sass Fee il sole vi tramonta nei giorni dell’equinozio. Le cime che, pur non avendo un numero nel loro nome, indicano inequivocabilmente l’ora di pranzo non si contrano… Infatti i “sass”, i “piz” e i “crap de mesdì” si trovano ovunque e, a sud di Sondrio, si eleva addirittura un raffinato Pizzo Meriggio…

Diverso il caso della catena asiatica del Karakorum, dove il cartografo inglese Montgomerie, con poca fantasia e senza tener minimamente conto della toponomastica locale, a metà dell’Ottocento battezzò K1 (Karakorum 1), K2, K3, K4, K5 le vette più importanti della regione. Ora quasi tutte quelle sommità sono tornate al loro nome originale, tranne il K2 che probabilmente agli alpinisti piace così anche se dagli abitanti è chiamato Chogori.

Forse è un vizio da cartografi, quello di cambiare il nome alle montagne! Così fece Julius Payer nel 1867 con la Punta San Matteo. La montagna, scalata per la prima volta due anni prima dai “soliti” inglesi, pare fosse chiamata (forse imprecisamente, va detto) Pizzo de la Mare. Il Payer, incaricato dall’impero austro-ungarico di mappare il gruppo montuoso dell’Ortles-Cevedale, durante l’ascensione alla montagna uscì miracolosamente illeso dalla rottura di una cornice di neve e decise così di intitolare il pizzo al santo di quel giorno, San Matteo appunto.

Anche il dare a una cima il nome della sua stessa quota, per esempio in Val Masino la Quota 3228 IGM, è entrato in uso da quando alpinisti, scienziati e cartografi hanno cominciato a frequentare le vette più alte e a elencarle e misurarle con precisione. Per la verità si tratta quasi sempre di vette minori, spesso invisibili dal fondovalle, che quindi non possedevano in precedenza un toponimo specifico.

Nella foto: Cima Dodici di Sesto, da www.valpusteria.com

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