“In montagna è meglio iniziare per gradi” è una raccomandazione retorica che mi sento di dissentire! E’ meglio iniziare e basta.
Oramai i gradi per la valutazione delle difficoltà alpinistiche sono talmente complessi, parcellizzati, specifici per le varie discipline che non mi ci raccapezzo più. Lontani i tempi in cui Willo (Welzenbach) inventò una semplice scala chiusa a sei gradi per la valutazione delle difficoltà…
Se non sei molto intelligente non puoi comprendere e gestire contemporaneamente la scala francese di arrampicata su roccia (con il numero e la lettera, esempio 6a, 7c, ecc.), quella canadese per il ghiaccio (un numero romano per l’ambiente e uno arabo per il grado tecnico, a volte con l’aggiunta di qualche lettera a me ignota: III, WI2R), la scala inglese (con le lettere S, VS ed E con vari numeri a seguire), quella per valutare il terreno misto (una M seguita dai gradi), quella americana (cinquepuntonumerodecimale), quella per il boulder, quella classica UIAA con i numeri romani seguita eventualmente da un + o un – e mi fermo qui perché già ho mal di testa.
Tutto questo, tra l’altro, consapevole del fatto che, nell’attesa che la Mega Entità Superiore dell’Alpe (M.E.S.A.) prenda in carico la gradazione di tutte le vie del mondo con una scala insindacabilmente unica ed esatta, ognuno fa come caspita gli pare.
Non mi resta che specializzarmi in una singola disciplina, imparare una scala di difficoltà che risponda alle esigenze della disciplina stessa oltre che ai miei impegni settimanali e, nel frattempo, lavorare sui miei chakra per arrivare finalmente alla famosa scala “Olivo Tico”, applicabile globalmente sia ai singoli passaggi tecnici che alle grandi pareti.
Si tratta di una scala verbale a due gradi: l’è bèl; l’è minga bèl
